Milan Slovak
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from Lello Torchia. Il pittore e la modella
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Gli echi che animano le opere dell'italiano Lello Torchia promanano, senza dubbio, dagli albori dell'arte. Nel compiere il suo lucido e appassionante viaggio a ritroso egli ci ricorda che la pittura, il disegno - come anche la scultura - sono tecniche tradizionali, ma non obsolete, di origine antica, ma tuttora vitali.
A questa certezza si ispirano i suoi ultimi lavori, che recano in sé la semplicità, l'asciuttezza, lo spirito delle opere classiche. I colori dallo spessore sottile, in alcuni casi etereo, le superfici quasi vellutate, l'accorta armonia tra figura-visione, da un lato, e spazio serrato in labili e pure geometrie, dall'altro, ci restituiscono un esempio attuale di connubio tra l'eleganza di un affresco pompeiano e il misticismo di un Cristo Pantocratore bizantino.
L'attenzione di Torchia è rivolta al passato remoto dell'arte, dagli albori della storia a prima dell'avvento della prospettiva che, inscenando la terza dimensione, va a rompere quella ieratica fissità che ritroviamo invece nelle sue opere. I lontani e nobili riferimenti che ne animano la creatività, tengono l'artista al di fuori dalla moltitudine di abili equilibristi che, sul filo della citazione, continuano a sottrarre acqua alla ormai prosciugata sorgente delle Avanguardie storiche, shakerando come barman poco lucidi le più improbabili misture.
Ciò non vuol dire che l'opera di Torchia sia scevra da influenze provenienti dal secolo appena terminato. Nei suoi lavori, infatti è agevole scorgere l'eco della Scuola di San Pietroburgo degli anni dieci, o dell'Astrazione fredda americana, o ancora dell'ostracizzata pittura Neo-Astratta sovietica, germogliata molto prima della svolta democratica. Ma è importante sottolineare come l'artista riesca a donare nuovo vigore agli esiti di queste esperienze estetiche geograficamente lontane, legandoli a doppio nodo alla storia millenaria dell'arte, a lui italiano culturalmente vicina; tutto ciò con assoluta coerenza formale, senza dar vita ad amebe linguistiche dall'indigeribile sapore kitsch.
A questa certezza si ispirano i suoi ultimi lavori, che recano in sé la semplicità, l'asciuttezza, lo spirito delle opere classiche. I colori dallo spessore sottile, in alcuni casi etereo, le superfici quasi vellutate, l'accorta armonia tra figura-visione, da un lato, e spazio serrato in labili e pure geometrie, dall'altro, ci restituiscono un esempio attuale di connubio tra l'eleganza di un affresco pompeiano e il misticismo di un Cristo Pantocratore bizantino.
L'attenzione di Torchia è rivolta al passato remoto dell'arte, dagli albori della storia a prima dell'avvento della prospettiva che, inscenando la terza dimensione, va a rompere quella ieratica fissità che ritroviamo invece nelle sue opere. I lontani e nobili riferimenti che ne animano la creatività, tengono l'artista al di fuori dalla moltitudine di abili equilibristi che, sul filo della citazione, continuano a sottrarre acqua alla ormai prosciugata sorgente delle Avanguardie storiche, shakerando come barman poco lucidi le più improbabili misture.
Ciò non vuol dire che l'opera di Torchia sia scevra da influenze provenienti dal secolo appena terminato. Nei suoi lavori, infatti è agevole scorgere l'eco della Scuola di San Pietroburgo degli anni dieci, o dell'Astrazione fredda americana, o ancora dell'ostracizzata pittura Neo-Astratta sovietica, germogliata molto prima della svolta democratica. Ma è importante sottolineare come l'artista riesca a donare nuovo vigore agli esiti di queste esperienze estetiche geograficamente lontane, legandoli a doppio nodo alla storia millenaria dell'arte, a lui italiano culturalmente vicina; tutto ciò con assoluta coerenza formale, senza dar vita ad amebe linguistiche dall'indigeribile sapore kitsch.