Francesco Galdieri
"Nella natura non vi son limiti, così non possono essercene in un opera. (...) Quando io faccio un ritratto, non posso limitarlo alle linee della testa, perché questa testa appartiene a un corpo, si trova in un ambiente che esercita un'influenza su di lei, fa parte di un tutto che non posso sopprimere". Ne L'Impressionismo in scultura, Medardo Rosso esemplifica con rara efficacia comunicativa le proprie motivazioni poetiche. La dichiarazione d'intenti del primo franco avanguardista, del precursore della contaminazione interdisciplinare che, interpretando l'arte come indivisibile, formalizzò un'impareggiabile simbiosi fra pittura e scultura.
Artista profetico, artefice di una neosegnica pulsante, sperimentatore di una morfogenesi sovversiva - foriera di inquietudine e dubbio - Rosso approdò a un rinnovamento epocale, "inoculando" una scossa sismica che rase al suolo i rassicuranti canoni estetici tardo ottocenteschi. Il radicale orientamento verso l'indistinto, lo sconfinamento della materia oltre qualsiasi cornice costituita, la volontà irremovibile nel minare le specificità della scultura, lo hanno consacrato "traghettatore della scultura nella modernità".
In quell'aura evocatrice di nuove soglie percettive emanata dalle opere dello scultore torinese, Lello Torchia ha rintracciato l'incipit per la sua rielaborazione stilistica, assecondando quella spinta evolutiva conformatasi in Bambino al sole. Opera che, alla stregua della Sindone, custodisce l'impronta di un trapasso all'insegna della continuità.
Lello emenda il supporto da un plasticismo eccedente mediante un sovrapporsi di pennellate inferte sommariamente, a svilire l'eminenza del volume. Come un sudario, la tela testimonia un processo di azzeramento e una rigenerazione dialettico-espressiva. Sussurrata e non declamata, che apporta indicazioni e spiana percorsi praticabili. Un segno che non "solca", non delimita; piuttosto una linea aperta che traccia l'ambito di esercizio attorno al quale, secondo un procedimento naturale, si è andata e va tuttora tarandosi la pratica artistica di Lello Torchia.
Il corpo, nel suo carattere auto-poietico, affiora come una realtà ontologica avulsa dalla temperie inconciliabile di spazio e forma. Speculare all'epurazione delle membra è il dissolversi della scansione temporale. Il viaggiare à rebours, l'attrazione insopprimibile alle plaghe dense del passato, l'ardua ricerca di un equilibrio formale relazionato ad un archivio scintillante di riflessi antichi, emergono come cartina al tornasole di un'analisi sensibile esplicitata mediante una formulazione essenziale. Convenendo con la tesi sostenuta da Jean Clair, secondo cui "tutto comincia con il disegno, e con esso tutto può ricominciare", Lello si è riappropriato di questo esercizio come punto di partenza e come opportunità di svolta per sganciarsi dalle coordinate dell'immanente.
Ha impugnato la matita, come medium di un remoto impulso e di un nuovo conio, individuando nel disegno la dimensione ideale, libera da una formazione percettiva statica, dove rintracciare le risposte ai dubbi inerenti il proprio mestiere. Nel disegno la sua impronta è andata acquisendo un pregevole dinamismo iconico che svincola i soggetti dalla rigidità monolitica degli esordi.
E' nel paesaggio umbratile del disegno che affiora una premura sensibile alla giustapposizione delle campiture aniconiche e di un incarnato antropomorfo, scevro da quella drammaticità a tratti greve ora abbandonata.
Risultato di un personale costrutto linguistico, le sovrapposizioni materiche emergono e svaniscono lentamente, liquefacendosi nell'astrazione, secondo un uniformarsi di stratificazioni flavescenti e di un grafismo sfumato e lieve. Della scarnificazione corporea elemento superstite è il volto, emblema di una sfera permeata di echi introspettivi ed esistenziali.
Il monocromo - derivazione minimalista esclusivamente nella misura di una noluntas figurativa della pittura, e non di un raggelamento segnico - inquadra superfici progettate come prosceni di tensioni contenutistiche e formali, partiture di attrazione dinamica. Ricomposizioni molecolari di una disgregazione volumetrica.
Il giallo ocra delle stesure ad encausto irradia energia, sollecita un coinvolgimento sensoriale, attiva una partecipazione emotiva. Habitat de lumiére per lo sguardo, riverbera la natura stessa della luce. Texture porosa, assorbe e rilascia come il tufo. Il tracciato filiforme, evanescente, talvolta impercettibile, compenetrandosi con i toni cromatici caldi schiude una costellazione di cifrature che declinano la dualità di un soggetto, rarefatto seppur presente. Desostanziato, come le figure di Medardo Rosso. Ombra sfuggente, evaporazione materica che cavalca il guado tra rappresentazione e astrazione. Reliquia di un oblio figurale.
Compartecipe di una sedimentazione retinica, di un'ibridazione di visibile e invisibile. Architettura di soglia interposta tra lo sguardo e il reale che non rifugge l'irrisolto conflitto tra memoria e progetto, bensì se ne nutre senza soluzione di continuità, traendone slancio per un'energica asepsi semantica.
Artista profetico, artefice di una neosegnica pulsante, sperimentatore di una morfogenesi sovversiva - foriera di inquietudine e dubbio - Rosso approdò a un rinnovamento epocale, "inoculando" una scossa sismica che rase al suolo i rassicuranti canoni estetici tardo ottocenteschi. Il radicale orientamento verso l'indistinto, lo sconfinamento della materia oltre qualsiasi cornice costituita, la volontà irremovibile nel minare le specificità della scultura, lo hanno consacrato "traghettatore della scultura nella modernità".
In quell'aura evocatrice di nuove soglie percettive emanata dalle opere dello scultore torinese, Lello Torchia ha rintracciato l'incipit per la sua rielaborazione stilistica, assecondando quella spinta evolutiva conformatasi in Bambino al sole. Opera che, alla stregua della Sindone, custodisce l'impronta di un trapasso all'insegna della continuità.
Lello emenda il supporto da un plasticismo eccedente mediante un sovrapporsi di pennellate inferte sommariamente, a svilire l'eminenza del volume. Come un sudario, la tela testimonia un processo di azzeramento e una rigenerazione dialettico-espressiva. Sussurrata e non declamata, che apporta indicazioni e spiana percorsi praticabili. Un segno che non "solca", non delimita; piuttosto una linea aperta che traccia l'ambito di esercizio attorno al quale, secondo un procedimento naturale, si è andata e va tuttora tarandosi la pratica artistica di Lello Torchia.
Il corpo, nel suo carattere auto-poietico, affiora come una realtà ontologica avulsa dalla temperie inconciliabile di spazio e forma. Speculare all'epurazione delle membra è il dissolversi della scansione temporale. Il viaggiare à rebours, l'attrazione insopprimibile alle plaghe dense del passato, l'ardua ricerca di un equilibrio formale relazionato ad un archivio scintillante di riflessi antichi, emergono come cartina al tornasole di un'analisi sensibile esplicitata mediante una formulazione essenziale. Convenendo con la tesi sostenuta da Jean Clair, secondo cui "tutto comincia con il disegno, e con esso tutto può ricominciare", Lello si è riappropriato di questo esercizio come punto di partenza e come opportunità di svolta per sganciarsi dalle coordinate dell'immanente.
Ha impugnato la matita, come medium di un remoto impulso e di un nuovo conio, individuando nel disegno la dimensione ideale, libera da una formazione percettiva statica, dove rintracciare le risposte ai dubbi inerenti il proprio mestiere. Nel disegno la sua impronta è andata acquisendo un pregevole dinamismo iconico che svincola i soggetti dalla rigidità monolitica degli esordi.
E' nel paesaggio umbratile del disegno che affiora una premura sensibile alla giustapposizione delle campiture aniconiche e di un incarnato antropomorfo, scevro da quella drammaticità a tratti greve ora abbandonata.
Risultato di un personale costrutto linguistico, le sovrapposizioni materiche emergono e svaniscono lentamente, liquefacendosi nell'astrazione, secondo un uniformarsi di stratificazioni flavescenti e di un grafismo sfumato e lieve. Della scarnificazione corporea elemento superstite è il volto, emblema di una sfera permeata di echi introspettivi ed esistenziali.
Il monocromo - derivazione minimalista esclusivamente nella misura di una noluntas figurativa della pittura, e non di un raggelamento segnico - inquadra superfici progettate come prosceni di tensioni contenutistiche e formali, partiture di attrazione dinamica. Ricomposizioni molecolari di una disgregazione volumetrica.
Il giallo ocra delle stesure ad encausto irradia energia, sollecita un coinvolgimento sensoriale, attiva una partecipazione emotiva. Habitat de lumiére per lo sguardo, riverbera la natura stessa della luce. Texture porosa, assorbe e rilascia come il tufo. Il tracciato filiforme, evanescente, talvolta impercettibile, compenetrandosi con i toni cromatici caldi schiude una costellazione di cifrature che declinano la dualità di un soggetto, rarefatto seppur presente. Desostanziato, come le figure di Medardo Rosso. Ombra sfuggente, evaporazione materica che cavalca il guado tra rappresentazione e astrazione. Reliquia di un oblio figurale.
Compartecipe di una sedimentazione retinica, di un'ibridazione di visibile e invisibile. Architettura di soglia interposta tra lo sguardo e il reale che non rifugge l'irrisolto conflitto tra memoria e progetto, bensì se ne nutre senza soluzione di continuità, traendone slancio per un'energica asepsi semantica.