Eleonora Puntillo
"Ho provato a lavorare sulle suggestioni che mi aveva dato il racconto della sua giovinezza, nel libro dove parla di donne, di boxe, di innamoramenti, di delusioni, di un lungo corpo a corpo e di scambi di colpi fra lui e la vita.
Mi ha colpito il cambiamento radicale del suo percorso, da campione in uno sport che è chiamato arte nobile, a un'altra arte nobile nel vero senso della parola, come è quella di stampare libri. Prima la scherma fatta con le mani e le braccia senza altra arma che i guantoni, che non sono un prolungamento del corpo come una spada o un fioretto o una sciabola, armi dell'arte ritenuta evidentemente nobilissima.
Chi fa un lavoro non esplicitamente narrativo guarda alle metafore; io, per rappresentare il percorso da un'arte nobile all'altra, ho voluto insistere sui rimandi, sui significati non immediatamente percepibili ma raggiungibili da chi guarda.
Per esempio, se rappresento una mano fasciata di bende come quella di un pugile, e non esplicito di che cosa si tratta, chi guarda può pensare a una ferita, a un simbolo di sofferenza, ai segni sanguinosi della santità.
Gli argomenti della vita di Tullio mi hanno indotto a fare una serie di disegni pervasi da ironia giocosa come l'occhio nero, ammarrato, come si dice a Napoli, che è un classico aspetto dei pugili dopo ogni combattimento, quando sono in preda a quella che la medicina definisce ubriacatura da pugni, che dura due o tre giorni, a seconda di quanti se ne sono incassati.
Ma io non faccio il narratore; pensando che un pugile viene immaginato come un essere duro e pesante, voglio rappresentarlo con il ferro, con una lastra che pesa 90 chili, proprio quanto un peso massimo..."
Mi ha colpito il cambiamento radicale del suo percorso, da campione in uno sport che è chiamato arte nobile, a un'altra arte nobile nel vero senso della parola, come è quella di stampare libri. Prima la scherma fatta con le mani e le braccia senza altra arma che i guantoni, che non sono un prolungamento del corpo come una spada o un fioretto o una sciabola, armi dell'arte ritenuta evidentemente nobilissima.
Chi fa un lavoro non esplicitamente narrativo guarda alle metafore; io, per rappresentare il percorso da un'arte nobile all'altra, ho voluto insistere sui rimandi, sui significati non immediatamente percepibili ma raggiungibili da chi guarda.
Per esempio, se rappresento una mano fasciata di bende come quella di un pugile, e non esplicito di che cosa si tratta, chi guarda può pensare a una ferita, a un simbolo di sofferenza, ai segni sanguinosi della santità.
Gli argomenti della vita di Tullio mi hanno indotto a fare una serie di disegni pervasi da ironia giocosa come l'occhio nero, ammarrato, come si dice a Napoli, che è un classico aspetto dei pugili dopo ogni combattimento, quando sono in preda a quella che la medicina definisce ubriacatura da pugni, che dura due o tre giorni, a seconda di quanti se ne sono incassati.
Ma io non faccio il narratore; pensando che un pugile viene immaginato come un essere duro e pesante, voglio rappresentarlo con il ferro, con una lastra che pesa 90 chili, proprio quanto un peso massimo..."